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Queen – A NIGHT AT THE OPERA

23 Giugno 2006

Tracklist:

1 – Death On Two Legs (Dedicated To…) (Mercury)
2 – Lazing On A Sunday Afternoon (Mercury)
3 – I’m In Love With My Car (Taylor)
4 – You’re My Best Friend (Deacon)
5 – ’39 (May)
6 – Sweet Lady (May)
7 – Seaside Rendezvous (Mercury)
8 – The Prophet’s Song (May)
9 – Love Of My Life (Mercury)
10 – Good Company (May)
11 – Bohemian Rhapsody (Mercury)
12 – God Save The Queen (Arranged by May)

In rosso sono indicati i brani già ascoltati durante puntate di WAH WAH.

Vi ha suonato:
FREDDIE MERCURY – Voci, pianoforte Bechstein Debauchery e altre voci.
BRIAN MAY – Chitarre, orchestrazioni e voci.
ROGER TAYLOR – Percussioni, voci.
JOHN DEACON – Basso.
Prodotto da ROY THOMAS BAKER e i QUEEN. Ingeniere esecutivo: MIKE STONE.
Registrato negli studi Sarm, Roundhouse, Olympic, Rockfield, Scorpio e Lansdowne.
Mixato nei Sarm Studios.
Editore: Feldman & Co. Ltd.

Siamo a un highlight della nostra Guida Agli Acquisti di WAH WAH. Sono orgoglioso di introdurvi al capolavoro dei Queen, A NIGHT AT THE OPERA, quarto album della serie, uscito nel Novembre 1975. Questa è la fatica determinante per l’imporsi dei Queen a status di leggende viventi, un album che finalmente li esula e li innalza lontano dalla moda dei movimenti per guadagnare l’immortalità. Perfetto in ogni dove, è l’lp del genio, dell’eccesso che non può divenire parodia, del Re Mida eccitato, non ancora prigioniero del suo potere. E dire che l’inizio di quell’anno, il 1975, non era stato certo esaltante per la band di Mercury. Da sempre in pessimi rapporti con la Trident e il loro manager Jack Nelson, si raggiunge l’esasperazione quando al ritorno dal tour in Giappone, l’appena sposato John Deacon non riceve la somma dovuta per l’acquisto di una casa. Jim Beach (avvocato dei Queen e dagli anni ’80 a capo del management) intenta una fortunata causa che li libera e li fa approdare alla EMI. Il nuovo manager, John Reid (già con Elton John), risulta persona gradita e il clima finalmente pacificato fa germogliare le nuove fantastiche idee per il nuovo album. Due mesi tra Londra e il Galles (in 6 studi differenti!!), portano alla registrazione del materiale, in un clima eccezionalmente prolifico. Freddie è il più convinto a voler superare ogni precedente traguardo, sperimentare ogni estrema possibilità di studio e arricchire ulteriormente la già variopinta tavolozza dei Queen, dipanandosi in ogni possibile soluzione di genere e stile. Se Mercury è il vate e profeta, Brian May è il grande direttore musicale del progetto, superandosi in un lavoro di chitarra grandioso, certosino. A NIGHT AT THE OPERA segna la sua completa maturità artistica e la sconvolgente padronanza dell’effettistica. Ormai con la sua mitica Red Special (la chitarra che ha costruito insieme al padre nel 1963 utilizzando pezzi del camino e del telefono) riesce a riprodurre ogni possibile sonorità, orchestrata o meno, senza tralasciare fiati e ottoni. La timidezza e incertezza del suo carattere scompaiono in quei fatidici 2 mesi, quando dichiara: “Questo sarà il nostro Sgt. Pepper…”. La sua paura di rendere l’album troppo sofisticato e forse un po’ “leggero” viene meno all’ascolto, anche se siamo di fronte a un disco decisamente più pensato e curato del predecessore, il manifesto heavy metal SHEER HEART ATTACK. La scritta “No synthesisers” capeggia orgogliosa nel libretto interno e siamo ormai pronti ad affrontare l’”impegnativo” contenuto di A NIGHT AT THE OPERA, orgiastica esaltazione della grandiosità Queen.
Un cupo e fluente pianoforte che sfocia in un intro da brividi apre il disco: il brano Death On Two Legs esplode in tutta la sua teatralità hard rock. Il basso di Deacon è opprimente, come crudele e spietata è l’atmosfera, con cori drammatici e una chitarra tagliente come un rasoio a disorientare il timido spettatore di questo primo atto del disco, una sconcertante invettiva al loro ex manager Jack Nelson (il testo è rabbia pura, non si contano gli insulti). La seguente Lazing On A Sunday Afternoon è un tranquillo intermezzo stile anni ’20, quasi a prendere respiro dopo la prima devastante canzone. La musica torna subito arrembante per I’m In Love With My Car, forse il miglior brano di Roger Taylor, dove la sua voce ruvida e acuta ben si adatta al personaggio interpretato nel testo, il pilota automobilistico Johnathan Harris.Una chitarra cromata sospinge l’avvento superlativo della strofa, col pilota ossessionato dalla sua automobile “da sogno”, che è per lui “davvero una malattia”. La musica è gloriosa con ampi accordi e interessanti fraseggi di toms; il finale è la giusta apoteosi di una voce assolutamente di primo piano. Finalmente Roger trova la sua dimensione ideale, in un brano simbolo del suo ruolo nei Queen. La quarta traccia è il secondo singolo estratto dall’album nonché seconda canzone scritta da John Deacon per i Queen, quella You’re My Best Friend che è idilliaca dichiarazione di affidamento alla ragazza che ha appena sposato. Si tratta di una canzone importante perchè marca la nascita di un autore assolutamente determinante per la carriera dei Queen, che col tempo firmerà altri brani fortunati come Spread Your Wings, Another One Bites The Dust (il singolo più venduto dei Queen) e I Want To Break Free. I toni si fanno ancora squisitamente godibili con ’39, brano firmato e cantato da Brian May. Poetico country-folk su un astronauta che torna sulla terra dopo un viaggio di cento anni, è un punto nobile del disco, con splendide armonie panoramiche e un mood come a imitare il basking, il cantare per strada. L’altra faccia di Brian è la seguente Sweet Lady, poderosa ma levigata pièce hard con ritornello à la Experience (c’è un po’ di Crosstown Traffic di Hendrix). La cavalcata finale è tutta da ascoltare. Si stravolge tutto con la settima traccia, Seaside Rendezvous. Divertente esercizio da belle epoque, ci accompagna con un tempo da tip-tap nel dandysmo rubacuori del Freddie più ironico. Torniamo decisamente seri per The Prophet’s Song, ispirata a un sogno particolarmente incisivo di May. L’intro per Toy Koto giapponese è penetrante e misticheggiante e la strofa doppiata dalla elettrica da spessore a un brano poco noto ma centrale per A NIGHT AT THE OPERA. I Queen sono di una grandiosità assoluta, quasi non si riescono a trattenere nei solchi del disco i voli pindarici dei quattro, soprattutto il soliloquio di Freddie (3:23) e la fenomenale strofa finale (da notare i pertinenti colpi di timpani di Taylor). La coda che riprende il motivo dell’intro è per chitarra, Toy Koto e arpa (tutto eseguito da Brian) e si collega felicemente con Love Of My Life, fortunatissimo minuetto d’amore siglato Mercury. Celestiale e magistrale la parte di pianoforte, accompagnata mano nella mano da una chitarra orchestrata ad opera d’arte. Vi innamorerete del finale di arpa. Dopo tanta meraviglia arriva la meritata pausa con Good Company, un brano minore di Brian May, nuovamente coinvolto alla voce solista. Si tratta di un esteso campionario chitarristico del nostro eroe impegnato tra acustica, ukulele, chitarra jazz e elettrica. Strabordante il finale dixieland. La leggenda del disco è ovviamente annodata alla fortuna di Bohemian Rhapsody, la traccia 11. Il singolo più importante degli ultimi 25 anni del secolo scorso, è il brano più importante di Freddie Mercury, e lui di grandi canzoni ne ha scritte parecchie. La maestà, l’eccentricità, l’epicità dei Queen fanno bella mostra di sé nei quasi 6 minuti di Bohemian Rhapsody. Nata come uno scherzo, il gruppo è stato convinto a pubblicarla solo grazie al temperamento e il carisma di Freddie Mercury, che vi vedeva la rappresentazione di un epoca, di una cultura rock, non solo del suo smisuratissimo ego. La lavorazione coinvolge i Queen per settimane, la parte centrale richiede oltre 180 interventi vocali. Ogni volta che Baker pensava di aver terminato le incisioni arrivava Freddie intenzionato a aggiungere altri cori, altri “Gallileos”. Si arrivò al punto di vedere quasi compromesso il lavoro, poiché a forza di aggiunte e ascolti a ripetizione, il nastro stava diventando trasparente facendo scomparire la musica. L’ incredibile risultato finale non poteva avere successo commerciale, era troppo lungo, troppo “da pazzi”. Un DJ amico di Freddie, Kenny Everett lo trasmise oltre 14 volte al giorno e l’ufficio della EMI venne subito tempestato di richieste per la pubblicazione. Fu così che i Queen videro singolo e album ai vertici delle classifiche britanniche, nonchè mondiali, consacrandosi definitivamente come leggende rock. La canzone è formata da almeno 5 sezioni distinte. La prima è un preludio corale-pianistico che introduce il protagonista, un ragazzo povero che commette un omicidio. La seconda parte è celebre per l’arpeggio pianistico con le mani intrecciate. Qui il ragazzo si rivolge alla madre, sconvolta per il figlio (“Mamma, non volevo farti piangere, se non sarò di nuovo qui domani, vai avanti come se nulla importasse..”). Gli si prospetta la pena capitale (“Troppo tardi, la mia ora è giunta, e manda brividi lungo la schiena..addio a tutti, devo andare…Non voglio morire, a volte spero di non essere mai nato..). Il terzo atto è un dibattimento (un processo?), dove Freddie va ad attingere dal melodramma italiano (“…Ma sono solo un povero ragazzo e nessuno mi vuole bene” “…E’ solo un povero ragazzo da una povera famiglia, risparmiategli la vita da questa mostruosità” “…Mi lascerete andare?” “Bismillah! No, non ti lasceremo andare” “…Mamma mia mamma mia mamma mia lasciatemi andare, Belzebù ha un diavolo da parte per me…”) che sfocia in un rabbioso contrappunto chitarristico (“Così pensate di potermi amare e poi lasciarmi morire?” “Non puoi farmi questo…devo uscire da qui”). Il carico emozionale cresce e una chitarra languida smussa mentre si plana dolcemente sulla ripresa del tema principale (“Nulla importa davvero, chiunque può capirlo, nulla importa davvero..per me..”). Dopo il colpo di gong non rimane che l’ultima traccia, l’inno inglese riarrangiato per chitarra elettrica, un doveroso omaggio al mito di Brian, Jimi Hendrix. Il minuto e 12 di God Save The Queen verrà proposto anche alla fine di tutti i concerti dei Queen a venire, vezzo da inguaribili nazionalisti quali erano.

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