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Beatles – RUBBER SOUL

30 Luglio 2006

Tracklist:

1 – Drive My Car (Lennon – McCartney)
2 – Norwegian Wood (This Bird Has Flown) (Lennon – McCartney)
3 – You Won’t See Me (Lennon – McCartney)
4 – Nowhere Man (Lennon – McCartney)
5 – Think For Yourself (Harrison)
6 – The Word (Lennon – McCartney)
7 – Michelle (Lennon – McCartney)
8 – What Goes On (Lennon – McCartney – Starkey)
9 – Girl (Lennon – McCartney)
10 – I’m Looking Through You (Lennon – McCartney)
11 – In My Life (Lennon – McCartney)
12 – Wait (Lennon – McCartney)
13 – If I Needed Someone (Harrison)
14 – Run For Your Life (Lennon – McCartney)

In rosso sono indicati i brani già ascoltati durante puntate di WAH WAH.

Vi ha suonato:
JOHN LENNON – Voci, chitarre, armonium, piano.
PAUL McCARTNEY – Voci, basso, chitarre, piano.
GEORGE HARRISON – Voci, chitarre, sitar.
RINGO STARR – Voci, percussioni, organo.
Armonium, piano – GEORGE MARTIN.
Organo – MAL EVANS.

Prodotto da GEORGE MARTIN. Ingegnere del suono: NORMAN SMITH.
Registrato dal 12 Ottobre all’11 Novembre 1965 a EMI Studios di Abbey Road, Londra.
Edizioni: Northern Songs Ltd.

Il beat è morto già nell’Aprile 1965, quando i Beatles pubblicano in Inghilterra il singolo Ticket To Ride, primo prodotto della stagione più scioccante dei Fab Four. Un rivoluzionario brano dissonante e strumentalmente pesante (dai fendenti di toms alle chitarre che tuonano ridondanti) con un esplicito testo su un amore poco interessato e, tra le righe, mercenario (Ticket To Ride era la certificazione sanitaria dello stato di buona salute delle prostitute). Un brano del genere sconvolse subito fans e critica, tanto da rasentare la paura che potesse rivelarsi un singolo potenzialmente poco commerciale. Poco importa se nell’agosto dello stesso anno uscì un album più rassicurante, HELP!, stanca colonna sonora del loro secondo “filmetto”. In quel disco i Beatles vestono per l’ultima volta i panni dei monelli mop-top, stelline del beat e idoli bipartisan di ragazzini e genitori. Siamo ormai al punto di “rottura generazionale”, i Beatles escono dall’ingenuità e maturano un loro linguaggio artistico autonomo, allontanandosi dai benpensanti e i “vecchi”, per coltivare un rapporto cifrato da droga, controcultura e libertà sessuale con il loro pubblico giovane. Durante l’estate del 1965 i Beatles sono in America per il loro secondo tour e in California matura la loro amicizia con i Byrds, la risposta statunitense ai nostri quattro. I due gruppi si stimano e avranno modo di ispirarsi vicendevolmente: se i Byrds attingeranno dal bagaglio musicale e immaginifico dei Beatles, questi ultimi attingeranno dalle conoscenze su droga (erba e soprattutto LSD) e musica indiana dei Byrds. Se per Lennon e Harrison la scoperta dell’LSD sarà una vera rivelazione, il mezzo per scavare nelle viscere delle loro menti e partorire le loro idee più grandiose, è anche vero che “viaggi” regolari con l’acido e soprattutto con cognizione dell’utilizzo di cui farsene, arriveranno solo nei primi mesi del 1966. Quando i Beatles tornano sul suolo inglese nel Settembre 1965 e prendono un periodo di riposo di sei settimane, sono più che altro dei fumatori di erba. Se prima l’eccitante per eccellenza era lo scotch, adesso si apre una nuova fase dove la creatività è ispirata dalla marijuana. I Beatles iniziano a comporre inedito materiale percependo (e fumando) una libertà metodologica imprevista, liberi di ampliare i propri confini interiori e quindi compositivi, verso nuove tematiche, forzando i loro confini. Il nuovo stile è battezzato delle “canzoni-commedia”: l’urgenza è la profondità tematica, la varietà delle liriche e delle sequenze di accordi per “dire davvero qualcosa” e elevarsi rispetto alle vuote canzonette d’amore che hanno rappresentato la loro passata fortuna. Tutto è nuovo, tutto è da provare e sperimentare. Tutto è eccitante perché sono pionieri in cui tutto deve ancora succedere e capiscono di essere i meglio piazzati per iniziare il nuovo corso del rock. Una èlite di giovani menti annebbiate e stonate dall’erba, quattro favolose “pot-heads”. Ma i Beatles non si muovono in solitaria e tutto attorno a loro la concorrenza avanza e si è fatta più agguerrita che mai. Sono usciti veri e propri brani d’avanguardia come My Generation degli Who e California Girls dei Beach Boys. Le vecchie restrizioni sono state abolite e tutto è ora possibile. Quando i Beatles entrano in studio il 12 Ottobre 1965, inizia l’incisione del disco “più avanti” e spettacolare mai inciso fino allora, RUBBER SOUL. Il nome del disco deriverebbe da una frase di McCartney, già udibile in un vecchio demo del lato B di Help!, I’m Down (del 14 Giugno 1965). Il “Soul di Gomma” è un’ idea di Paul da ricercarsi nel suo viscerale amore per gli artisti delle etichette americane Stax e Motown. In quel periodo il loro obiettivo era emulare il loro sound sensuale, capace di comunicare direttamente con i cinque sensi. Non era altro che soul music afro-americana con la energia del R&B: un suono che un bassista come Paul non poteva non ammirare. La voglia di sperimentazione si evince dall’accostumare al genere soul (una forma musicale già classica in quegli anni) il bisogno di trovare nuove vie, la necessità di stravolgere e distorcere. Da qui l’aggettivo “gommoso”: una volontà di rinnovamento, di esaltazione delle frequenze sonore. Un nuovo suono proteso al domani. Discutere poi che all’interno di RUBBER SOUL non vi siano grandi tracce di musica soul e nemmeno di suoni “rigonfiati” è altro e veritiero discorso (il concetto potrebbe invero limitarsi alla foto di copertina “strecciata” di Robert Freeman, un fortunato incidente di proiezione che entusiasmò subito i Fab Four). Ai Beatles in questo periodo interessavano le trovate trasgressive, anche se non erano pronti tecnicamente a realizzarle. Questo è perlomeno un sicuro segno di fantasia. La prima canzone a cui si lavora non sembra però promettere nulla di buono. Run For Your Life è un’acida invettiva sessista di Lennon, che negli anni ripudierà (forgiato dal femminismo militante di Yoko Ono), registrata frettolosamente in un solo pomeriggio. Il testo è infelice e spaventa la assoluta mancanza di ironia del protagonista che fa brutta mostra di tutto il suo malato essere possessivo (“Sai che sono un ragazzo cattivo, nato con una mente gelosa, posso spendere la mia intera vita per fartela pagare. Meglio se scappi per la tua vita, ragazzina, e nascondi la testa nella sabbia…Se ti trovo con un altro uomo per te è finita…Intendo per davvero ogni cosa che ho detto, sono determinato perfino a vederti morta…”). Il maschilismo violento di Lennon è autentico: più volte ha alzato le mani sulle donne della sua vita; almeno fino a quando le droghe pesanti non lo avrebbero definitivamente rabbonito fino a divenire un placido essere al guinzaglio di Yoko. Anche l’esecuzione di Run For Your Life lascia alquanto a desiderare (la chitarra solista è fuori tono e poco ispirata, mentre Lennon pasticcia col microfono) ed è fortunatamente in controtendenza con il restante materiale di RUBBER SOUL. Quello stesso primo giorno di registrazioni si inizia a lavorare sull’altrettanto lennoniana Norwegian Wood (This Bird Has Flown), la loro prima “canzone-commedia”. Per la prima volta il testo è più importante della musica ed è il racconto di un adulterio consumato in un rapporto occasionale, connotato da maliziose puntualizzazioni (“I once had a girl, or should I say she once had me…”). La musica è un 12/8 folk con un MI maggiore a creare un bordone, tipico della musica indiana, con la presenza, inedita per il pop occidentale, di un sitar al posto della chitarra solista. L’idea per Norwegian Wood maturò a Los Angeles durante l’incontro con i Byrds, i quali introdussero la musica di Ravi Shankar ai Beatles. Soprattutto George Harrison rimase entusiasta delle sonorità del maestro indiano, che percepì come una musica a lui familiare da sempre. L’incontro con il sitar lo ebbe già mesi prima, durante una scena del loro film Help! girata in un ristorante con una banda di musicisti indiani. Dopo la visita ai Byrds comprò una copia del disco di Shankar e ne rimase fulminato; arrivò ad affermare che gli aveva cambiato addirittura la vita. Comprò un primo sitar in un negozio londinese di strumenti orientali (l’India Craft) e decise che il suo utilizzo avrebbe giovato a Norwegian Wood, l’avrebbe completata. Gran parte della fama di questo brano è in effetti merito dell’illuminante riff di sitar di George. Un nuovo folgorante panorama musicale si apriva per i Beatles (che di rimando avrebbero influenzato l’intero pianeta) e George si era appena guadagnato il ruolo di precursore della moda orientale dei sixties. Il giorno seguente, il 13 Ottobre, si appronta un’altra “canzone-commedia”, stavolta di Paul McCartney, Drive My Car. Siamo dinnanzi ad un altro segnale che i Beatles hanno definitivamente abbandonato l’ingenuità dei primi anni. Abbiamo un altro testo forte, a base di sesso e trame dello show business (“Ho chiesto alla mia ragazza cosa vuole diventare, lei mi disse ‘Non puoi capire’. Voglio essere famosa, una stella dello schermo, ma puoi fare qualcosa nel frattempo…Baby puoi guidare la mia auto, sì sarò una stella…Lei mi ha detto…Non ho un’auto e questo mi spezza il cuore, ma ho trovato un autista ed è già un punto di partenza…”). Il doppio senso sessuale del titolo è lascivo e il tutto è molto più esplicito di quanto si possa furbamente immaginare. La musica è un accattivante R&B di ispirazione Motown con il suono presente, solido come non mai. Con successo i Beatles trovano quella profondità sonora di esaltazione di bassi che andavano cercando. La frase raddoppiata di chitarra e basso è una vincente idea di Harrison, pensata dopo che aveva ascoltato il lavoro di Otis Redding e omaggia la sua fantastica band, Booker T and the MG’s. Drive My Car sarà scelta come opening di RUBBER SOUL e rimane tuttora il brano d’apertura più riuscito della storia beatlesiana.
Dopo aver registrato il singolo Day Tripper (conservando lo stato d’animo di Drive My Car), il 16 Ottobre vede l’incisione di If I Needed Someone, una delle due canzoni di Harrison incluse in RUBBER SOUL. Lo stile ricalca i successi dei Byrds: caratteristico è l’utilizzo della chitarra 12 corde, in questo caso una Rickenbaker Fireglo (o una 360-12) che scampana ascendendo un motivo sincopato misolidio, col capo movibile sul settimo tasto. L’esecuzione di George è perfetta anche se la canzone è un po’ aspra e possiede un impianto melodico tipicamente arcigno (per il suo autore). Molto interessante anche la trama di basso di Paul e il tamburino di Ringo che persegue nell’emulazione del complesso di Roger McGuinn e David Crosby. Il 18 e 22 Ottobre i Beatles incidono una nuova composizione di Lennon, In My Life. Sarà nominata tra le migliori composizioni in assoluto di John. Il concetto nacque quando gli chiesero il perché non scrivesse una canzone riguardo la sua infanzia a Liverpool. John colse la sfida con entusiasmo e collezionò un lungo elenco di luoghi e personaggi come se li vedesse passare da sopra un autobus (Paul McCartney riuscì meglio in quest’impresa con la futura Penny Lane). Ben presto però l’elenco si fece lungo e ingombrante, rendendo impossibile la stesura di un testo per una canzone pop. Appena smise di sforzarsi, forse indotto dall’erba, iniziò a pervenirgli il nuovo testo definitivo, un nostalgico poemetto sulla dolcezza amara del ricordare, sull’amore che era e su quello che è ancora (“Tutti questi luoghi ebbero i loro momenti…alcuni sono passati, altri vivono ancora, nella mia vita li ho amati tutti…Ma tutti questi amici e le amanti…e questi ricordi, perdono il loro significato se penso all’amore come a qualcosa di nuovo. Nonostante non perderò mai l’affetto per le persone e le cose che furono, so che spesso mi fermerò a pensarci, nella mia vita ti amo sempre più”). Mentre tutto scorre, ecco il John Lennon più fantastico di RUBBER SOUL irripetibile artista dalle mille prerogative, trasformista sublime che prima è riprovevole maniaco (Run For Your Life), poi di colpo sensibile poeta alla Wordsworth (In My Life), tutto in una manciata di giorni. In My Life ha più spessore emotivo di qualsiasi altra cosa i Beatles avessero registrato prima, persino più del fiore all’occhiello di McCartney yesterday (presente nell’album scorso, HELP!). L’intervento leggendario di George Martin al piano elettrico, al posto dell’assolo, è ottenuto suonando a velocità dimezzata e poi accelerata su nastro, sia per la palese difficoltà di eseguire la partitura alla reale velocità raddoppiata (Martin ammise di non esserne stato capace), sia per creare un effetto scheletrico e pungente, da arpicordo. Si stava lavorando anche su un’altra composizione sempre di Lennon, un urlo di malessere esistenziale in diretta discendenza da Help!, Nowhere Man. Il distacco dalla realtà indotto dalle droghe (erba e LSD) è senza via di uscita come la struttura piana e monotona della canzone, inchiodata attorno al suo ritornello ossessivo di voce raddoppiata. Partendo gloriosamente a cappella, il brano è interessante fino all’ultima nota dell’assolo eseguito all’unisono da Lennon e Harrison con le loro nuove gemelle Fender Stratocaster Sonic Blue. Il “parco-chitarre” dei Beatles comprendeva, durante le incisioni di RUBBER SOUL (oltre alle due Fender): una Rickenbaker 325 (la seicorde elettrica tradizionale di Lennon), una chitarra spagnola acquistata durante una vacanza da Lennon, due Gibson J-160E acustiche, il basso Hofner del ’63 di Paul (quasi mai usato), una 12 corde acustica Framus Hootenanny, una Epiphone Casino elettrica e la Texan acoustic (entrambe di Paul) e il nuovo basso Rickenbaker 4001S (utilizzato per tutti i prossimi dischi dei Fab Four al posto dell’Hofner). Infine abbiamo le due Gretsch (Country Gent e Tennessean) e la Rickenbaker 360-12 (o Fireglo) di Harrison. Ringo era, come da consuetudine, dietro ai tamburi della sua Ludwig madreperlata. Prendendo spunto dall’appena incisa We Can Work It Out (vedrà la luce come singolo il 3 Dicembre 1965 assieme a Day Tripper), Paul diagnostica una frattura nella sua relazione sentimentale con la gradevole I’m Looking Through You, traccia decima di RUBBER SOUL. Per essere un brano minore è ben riuscita e ben addobbata tranne gli appena abbozzati interventi di chitarra solista che non sembrano nello stile garbato e preciso di Harrison, bensì sarebbero opera maldestra di Paul. Ringo trova modo di menare colpi a un organo Vox Continental. La prima seduta di Novembre frutta la prima canzone del lato B di RUBBER SOUL, la celebre Michelle. Un’ ulteriore “canzone-commedia” scritta da Paul McCartney inizialmente per scherzo, giusto per intrattenere gli ospiti dei party della sua ragazza di allora, l’attrice Jane Asher. Melodicamente ricchissima, Michelle ha un mood romantico-sentimentale di gusto francese anni ’40 (non solo per l’utilizzo di frasi in lingua d’oltremanica) che non può non piacere e nella sua versione definitiva è abbastanza convincente da perdere il suo lato più ironico e istericamente snob. La concretizzazione in studio rappresenta il tour de force solistico di Paul all’interno dell’album RUBBER SOUL. Infatti qui McCartney suona tutti gli strumenti in sovraincisione e sembra che nessun altro beatle abbia preso parte alla realizzazione. Particolarmente riuscito l’assolo di basso nella dissolvenza finale, ottenuto collegando lo strumento direttamente al banco piste. Scartata come scelta per un singolo (perché Lennon ne era intimamente geloso), Michelle sarà portata al numero uno in classifica dal gruppo degli Overlanders, nel Febbraio 1966. Ringo ci mette finalmente del suo con la scanzonata What Goes On, siparietto country-western che riprende l’idea della ribalta per Ringo solista sull’album HELP!, Act Naturally. La differenza è che qui siamo di fronte a un brano originale di Lennon, McCartney e un minimo aiuto al testo da parte di Starr, non una cover. Appropriato l’esercizio di stile di Harrison, che imita Chet Atkins, suo mito della chitarra. Si percepisce che i Beatles fossero un po’ stanchi, avendo inciso questo pezzo alle 2 e mezza di mattina del 4 Novembre. Pochi giorni dopo, l’8 Novembre è la volta di Think For Yourself un altro brano dalla penna di George Harrison. Se negli passati 5 album ha contribuito con solo due brani originali, nel solo RUBBER SOUL George ne piazza altri due. Il suo songwriting sta emergendo e avrà un ulteriore maturazione nel successivo REVOLVER. Think For Yourself è comunque un brano minore del disco in esame, solitamente imbronciato e leggermente antipatico al primo ascolto. Si tratta ad ogni modo di un elemento di forte novità all’interno del catalogo beatlesiano, per l’attitudine rock degli incisivi cambi d’accordi e il moderno utilizzo del fuzz tone, esattamente un Tone Bender. Abbiamo qui due bassi, uno collegato al vox e uno al banco piste attraverso il distorsore che ci dona lo schiacciamento delle frequenze per ottenere la tipica funzione sensoriale della musica rock. Eccezione fatta per quest’ultimo brano citato, durante le registrazioni di RUBBER SOUL, i Beatles abbassarono il volume dell’esecuzione in studio per poter meglio dominare il segnale degli amplificatori e concentrarsi sui risvolti dell’effettistica. Quindi Abbey Road fu riempita di amplificatori Vox AC-30 e non degli AC-100 (i numeri si riferiscono alla potenza dei coni in watt) usati per HELP!. Siamo ormai alle ultime sedute e il 10 Novembre viene registrata The Word. Sinuosa anticipazione della Summer Of Love del 1967 (questo quasi un anno e mezzo in anticipo) è il brano più socialmente influente dell’album. La parabola dell’”amore militante” è qui canonizzata in netto anticipo sui tempi e ci rende il metro della taratura culturale e profetica del gruppo vate dei sixties. Al tempo la controcultura era dominio privato di una èlite di gente “figa” confinata a Notting Hill e in California. Ora, è ovvio il fatto che i Beatles fossero al vertice di questa compagnia di cospiratori e prossimi plagiatori della gioventù planetaria, ma ancora nel 1965 i Beatles erano alquanto indifferenti ad assimilare le panacee di ricchi figli di papà della metropoli londinese o pseudo-intellettuali tossicomani da quattro soldi (loro che erano figli del Nord d’Inghilterra, provenienti dal ceto medio-basso). Il movimento hippie non esisteva ancora e possiamo intuire come The Word sia in realtà un divertito inno di ironia patologica da acido, quel tipo di cose sopravvalutate dai mass-media con cui Lennon andava a nozze (per non parlare del suo capriccioso gusto nel creare confusione ed errata interpretazione). You Won’t See Me è lo stadio più infimo dell’ incrinatura tra Paul e Jane Asher (che lo aveva temporaneamente lasciato). Brano debole, è infelicemente collocata prima di Nowhere Man, con la quale condivide una fastidiosa tediosità. La canzone si piange addosso per tutti i tre minuti e 22 secondi e solo la linea spontanea e fantasiosa del basso (ottenuta grazie alla soddisfazione di Paul per avere tra le mani uno strumento di buona fattura come il suo nuovo basso Rickenbaker, dal manico fluido e il buon mantenimento dell’accordatura) ne risolleva le quotazioni, apparentemente spacciate. L’ultima canzone incisa per RUBBER SOUL è Girl, firmata da John Lennon. Se Paul cita la Francia in Michelle, John risponde con le atmosfere tedesche di Girl. Forse ispirata dai ricordi di Amburgo dell’inizio carriera, siamo dinnanzi a un brano sofferto il cui tema è un amore incompreso che si schianta su una fredda stanchezza di vivere (“Le hanno detto da piccola che il dolore porta al piacere? Capiva quando le dicevano che un uomo deve spaccarsi la schiena per guadagnarsi il suo giorno di svago? Lo crederà ancora quando lui sarà morto?…”). Per il missaggio definitivo (avvenuto il 15 Aprile) fu inserita nella scaletta dell’LP anche un’ altra canzone prodotta alla fine delle registrazioni del precedente album HELP!, e poi scartata, Wait. RUBBER SOUL esce il 3 Dicembre 1965, giusto in tempo per lo shopping natalizio e ovviamente realizzerà vendite da record in tutto il mondo. Nulla può fallire per i nostri Fab Four che replicheranno con altri due album essenziali nei due anni a seguire: REVOLVER nel 1966 e SGT.PEPPER nel 1967 (per formare il trittico dell’inner sanctum del rock di sempre). Li affronteremo presto, sempre qui nella nostra Guida Agli Acquisti di WAH WAH.

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